lunedì 20 maggio 2013

JORGE VIDELA, CRIMINI E MORTE DI UN GENOCIDA LIBERALE


DI GENNARO CAROTENUTO
gennarocarotenuto.it
(da www.comedonchisciotte.com)
 Jorge Rafael Videla, il dittatore argentino dei 30.000 desaparecidos, muore in carcere da sconfitto, da ergastolano, da genocida. Come ha detto Estela Carlotto, la leader delle nonne di Plaza de Mayo, «era un uomo disumanizzato» ed è fin troppo semplice applicare a lui la categoria arendtiana di «banalità del male» di chi mise metodicamente in atto un sistematico piano genocidiario, tendente al sequestro di persona di massa al furto di ogni bene mobile e immobile delle sue vittime, all’assassinio e alla sparizione di persone. Lasciò i figli senza genitori e i genitori senza figli. Ciò succede in molte guerre di sterminio, ma a Videla e ai suoi non bastava. Perciò, peculiarità creola dell’orrore, volle che i morti restassero senza nome, i desaparecidos, e i vivi -i figli di questi, spesso appena neonati- restassero senza identità. Le puerpere venivano lasciate in vita solo fino al parto e centinaia di bambini furono smistati a caso «per salvare la società Occidentale e Cristiana».

Non agiva da solo Jorge Videla. Molti sapevano, moltissimi appoggiavano, come la confindustria, le classi dirigenti, potenti amici come Licio Gelli. Qualcuno benediceva. Il nunzio apostolico Pio Laghi e il cardinale primate Raúl Primatesta erano intimi del genocida. Magari ci fosse un dio a giudicarli. Videla stava dalla parte dei buoni della guerra fredda, agiva all’interno di norme stabilite nell’ambito del Piano Condor, l’internazionale del terrore fondata con Augusto Pinochet e la complicità di Henry Kissinger. Questi invitò Videla a far presto nello sterminare l’opposizione, perché poi con Jimmy Carter non avrebbe avuto la stessa mano libera. Perfino le tecniche di tortura rispondevano a rigidi protocolli; sviluppate dai francesi tra Indocina e Algeria, gli statunitensi erano stati prima allievi e poi avevano superato il maestro –fino ad Abu Ghraib già nel nostro secolo- e docenti per 50.000 torturatori e assassini latinoamericani.  Anche in altre culture e sistemi politici si tortura e si uccide, ma sulla carne dei torturati dell’ESMA e del Garage Olimpo c’è quel marchio di fabbrica.

Nel pensare Videla, nel pensare i desaparecidos, non possiamo espungere l’idea che sia la nostra civiltà occidentale, la nostra cultura, il nostro modello sociale ed economico ad aver generato un simile mostro. Nel pensare Videla non possiamo dimenticare che virus e anticorpi convivono nello stesso organismo e la difesa dei diritti umani non finisce con la morte in carcere di un genocida.

Jorge Videla muore da eversore mai pentito. Appena un mese fa invitava a prendere le armi contro il governo di Cristina Fernández de Kirchner, colpevole di aver instaurato -sue parole- «un regime alla maniera di Gramsci». Ma muore da ergastolano, muore solo come un cane in una cella di un carcere all’alba di una mattina d’autunno australe, incapace perfino di fare paura, lui che poté decidere la morte di decine di migliaia di persone. Muore solo e impresentabile, infame fino all’ultimo nel rivendicare di conoscere perfettamente la sorte di 7-8.000 dei 30.000 desaparecidos, ma scegliendo di portarsi nella tomba i segreti che avrebbero potuto alleviare l’angustia permanente di chi ancora cerca un indizio sulla sorte di un figlio, un genitore, un amico. Ben pochi oggi ne rivendicano l’eredità e appare perfino ingiusto il suo destino rispetto a quello del suo sodale in tutto Augusto Pinochet, il dittatore cileno, morto impune e confortato dall’affetto dei suoi clepto-familiari o da Henry Kissinger, che tra dieci giorni sarà un rispettato novantenne che mai pagherà per quell’inferno.

Giova sempre ricordare che non più di un ventesimo dei desaparecidos era guerrigliero, ammesso e non concesso che i guerriglieri meritassero quella sorte. Il 95% erano sindacalisti, studenti, giornalisti, giuristi, sacerdoti, militanti di sinistra, esponenti della società civile che dovevano essere spazzati via per permettere il più grande saccheggio della storia: l’imposizione del modello neoliberale, lo svuotamento delle ricchezze del paese, la loro svendita ai capitali finanziari transnazionali. Valga solo un dato: in Argentina, uno dei paesi più avanzati e ricchi al mondo, ancora nel 1972 c’era la piena occupazione. Nel 2002, calcolando disoccupati e sottoccupati, si sarebbe arrivati a un 42% reale di persone senza un lavoro degno. In un paese con milioni di ettari di terra fertile il neoliberismo reale portò a migliaia di morti per fame. Così non furono i desaparecidos né le inenarrabili violazioni di diritti umani la peggior colpa di Videla. La peggior colpa di questi e dei poteri economici che lo appoggiarono fu aver pianificato e perseguito la riduzione in miseria di milioni e milioni di esseri umani. Il genocidio fu prodromico all’imposizione del modello neoliberale. Videla fece il lavoro sporco disarticolando ogni resistenza sociale, sindacale, culturale.

Nonostante tutto la società argentina mantenne sempre vivi i propri anticorpi democratici. Dopo la caduta della dittatura, il coraggioso Raúl Alfonsín nell’83 istituì la CONADEP (la commissione d’inchiesta sui desaparecidos presieduta da Ernesto Sabato) e dichiarò l’incostituzionalità della Legge N° 22.924 di auto-amnistia firmata dalla Giunta militare poco prima di lasciare il potere. Quindi, con il Decreto 158/83 rese possibile il processo alla giunta. Punire i capi era più facile che perseguire i pesci piccoli. Quello che nell’85 condannò Videla all’ergastolo fu un processo di capitale importanza perché le Nazioni Unite recepissero la «sparizione forzata» di persone come violazione dei diritti umani. Prima non era così. Purtroppo era solo il primo round. Nel ‘90 il regime neoliberale di Carlos Menem avrebbe indultato Videla e gli altri, dopo aver messo un punto finale legislativo sulle violazioni dei diritti umani.

Fu il crollo inglorioso dell’Argentina neoliberale, alla fine del 2001, a riaprire la partita e portare al ribaltamento della politica dei diritti umani in un paese che aveva visto dilagare l’impunità dalla violazione dei diritti umani a qualunque altro contesto.  Si è trattato del trionfo di trent’anni di battaglia per la verità e la giustizia portata avanti dal coraggio dello spezzone più avanzato della società argentina, simboleggiato dalle madri di Plaza de Mayo, che solo dopo la fine del regime neoliberale trovò la forza di farsi governo con la sinistra peronista dei Kirchner. Così l’Argentina recuperò una politica dei diritti umani encomiabile e tra le più avanzate al mondo. Già nel suo discorso d’insediamento Néstor mise le cose in chiaro: «Siamo i figli delle Madri e delle Nonne di Plaza de Mayo, e per questo motivo insistiamo nell’appoggiare costantemente il rafforzamento del sistema di protezione dei diritti umani, ed il processo e la condanna di quelli che li violino».

Non faceva propaganda il «flaco de la JP», il ragazzo della gioventù peronista massacrata da Videla divenuto presidente. Nel giro di pochi mesi smantellò per intero il contesto d’impunità e le leggi di Punto Finale e di Obbedienza Dovuta furono dichiarate dal Congresso «insanabilmente nulle».

Il primo a essere condannato fu il sinistro Miguel Etchecolatz, capo della polizia di Buenos Aires e responsabile di 21 campi di concentramento clandestini. Nei confronti di Etchecolatz per la prima volta in una sentenza in Argentina fu scritto che la condanna era emessa per il crimine di «violazioni di diritti umani commesse nel contesto di un genocidio». E così fu condannato il ministro dell’economia e uomo del Fondo Monetario Internazionale della dittatura José Alfredo Martínez De Hoz. Oggi in Argentina vi sono circa 3000 procedimenti penali ancora aperti e circa 650 repressori stanno scontando la loro pena, spesso l’ergastolo, in carceri comuni. Tra questi Jorge Videla che, ripristinata la sentenza dell’85, era già un ergastolano. Un altro ergastolo gli toccò per il piano sistematico di sottrazione di minori. Nello specifico per il sequestro di 18 bambini. Un terzo per l’assassinio di prigionieri politici a Cordoba. Infine era in dirittura d’arrivo la condanna per la sua responsabilità diretta nel Piano Condor, l’internazionale del Terrorismo di Stato che coinvolse tutti i regimi latinoamericani con il coordinamento di Washington.

Muore in carcere e da genocida Jorge Videla affogando nel rancore e nell’odio che nutriva per la società, per la diversità, per la bellezza. Non sono molti i paesi che, come invece può fare l’Argentina, possono dire di aver fatto i conti col proprio passato ed è per questo che il suo corpo di canaglia può marcire lasciando noi in pace. Per quanti passi ancora vadano fatti per rafforzare e difendere i diritti umani, in Argentina, in America latina, nel mondo, la morte di Videla non lascia un sapore amaro come quella dell’impune Pinochet, che pure dovette farsi passare per demente per sfuggire al processo. Con Videla giustizia è stata fatta.

Gennaro Carotenuto
Fonte: www.gennarocarotenuto.it
Link: http://www.gennarocarotenuto.it/23148-jorge-videla-crimini-e-morte-di-un-genocida-neoliberale/
18.05.2013

sabato 4 febbraio 2012

CIA: ESPERIMENTI DI CANCRO CON I PRESIDENTI DELL'AMERICA LATINA ?

DI NIL NIKANDROV
strategic-culture.org

In una serie di suoi discorsi pubblici Hugo Chavez ha definito come "epidemia" i casi di cancro che stanno colpendo molti presidenti latino-americano, definendo tutto ciò un fenomeno strano ed allarmante. Il cancro ha colpito Chavez in primis, il presidente paraguayano Fernando Lugo, Dilma Rouseff e Lula da Silva (Brasile), Crisitina Fernandez (Argentina). Tutti loro sono conosciuti come politici di centro-sinistra che lottano per accelerare il processo di integrazione dell'America Latina e per liberarsi del dominio degli Stati Uniti nell'emisfero occidentale. Chavez ha parlato di imperi che sono pronti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi.

La risposta di Washington non si è fatta attendere. Victoria Nuland, portavoce ufficiale del Dipartimento di Stato americano, ha definito le parole di Chavez "orribili e riprovevoli". Cioè esse sono state percepite dall'amministrazione Obama come una accusa di utilizzo di particolari tecnologie biologiche per causare il cancro tra i leader latino-americani colpevoli di non perseguire una politica amichevole nei confronti degli Stati Uniti.

Naturalmente, Hugo Chavez non è così maleducato. Ha capito che Washington avrebbe richiesto prove. Così il presidente ha spiegato la propria posizione dicendo di non aver mai incolpato nessuno, ma che piuttosto ha fatto utilizzo della libertà di pensiero di fronte ad una strana serie di eventi di difficile spiegazione. La sua ansia è ben compresa, poiché per scongiurare il rischio di morte si è dovuto sottoporre ad una serie invasive chemioterapie a Cuba. E l'ansia è destinata a rimanere. Come compaiono queste malattie? Come un tumore maligno ha potuto colpire un uomo sano, militare in pensione, ex giocatore di baseball, regolare frequentatore di palestre nonché corridore agonista? Perché solo i politici populisti incappano in questi problemi e ciò non accade mai ai presidenti di destra che favoriscono l'Impero?

Il dottor Salomon Yakubowicz, un popolare dottore venezuelano, specialista in diete e frequente visitatore dell’ambasciata degli Stati Uniti, si è precipitato a chiudere la questione. Egli ha detto in modo autorevole, non usando note preparate dalla CIA, che sono i presidenti stessi ad essersi attirati questi problemi. Ha asserito che Lula da Silva ha fumato troppo. Christina Fernandez si è sottoposta a troppe procedure per il ringiovanimento del viso e del collo. Il paraguayano Lugo non ha usato alcuna protezione durante i numerosi rapporti sessuali avuti durante la sua vita; il linfoma è una cosa comune in questi casi ed egli deve essere già grato a Dio per non aver sviluppato l’AIDS. Chavez deve biasimare solo se stesso per non aver vissuto in armonia con i bioritmi, lavorando di notte, mangiando male: questo è ciò che la sua malsana tendenza a espletare troppe attività testimonia. I circoli di opposizione ed i media a favore degli Stati Uniti hanno fatto da cassa di risonanza a queste affermazioni: Chavez ed i suoi amici populisti sono soggetti a stress, paura del futuro e soffrono di manie di persecuzione vedendo “cospirazioni dell’impero” ovunque.

Eppure la spiegazione dell’epidemia ventilata da Chavez è stata presa sul serio. Studiosi di politica non dubitano che i servizi speciali americani stiano conducendo un'operazione su vasta scala per neutralizzare i "ribelli leader latino-americani". Hanno studiato la storia; sanno come il Pentagono e la CIA abbiano usato sostanze radioattive, biologiche ed armi chimiche sul continente e ricordano eventi mostruosi in cui sono stati utilizzati esseri umani come cavie, nel totale silenzio dei mass media.

C'è solo una piccola possibilità che un approfondito resoconto del programma statunitense sulle armi biologiche possa mai vedere la luce. La maggior parte degli archivi è classificata, i file più riprovevoli sono progressivamente eliminati e gli studiosi, che miravano a rendere nota la verità sugli esperimenti criminali, sono morti in strane circostanze.

Nel 1947 cioè poco dopo la sua istituzione, la C.I.A. è stata colta in flagrante mente compiva tali esperimenti. Gli agenti della F.B.I. e della C.I.A. "proteggevano" i medici degli Stati Uniti che in Guatemala infettarono 2000 guatamaltechi per studiare la sifilide e la gonorrea. Il consenso ai guatamaltechi sulla loro volontà a sottoporsi a tali esperimenti non è mai stato chiesto.

Il Presidente del Guatemala Alvaro Colom ha definito questi esperimenti un crimine contro l'umanità. Barack Obama ha dovuto chiedere scusa in una conversazione telefonica con il Guatemala. Ha detto che gli esperimenti erano in contraddizione con i valori degli Stati Uniti. Ma quale contraddizione! Gli esperimenti ed i valori degli USA sono ben allineati.

Fu sempre nel 1947 che la CIA lanciò il programma di test su “materiale umano” dell’LSD (dietilamide dell'acido lisergico). Più tardi l'intelligenza militare degli Stati Uniti ha portato il programma ulteriormente avanti e ha utilizzato i suoi risultati "sul campo" nell’Estremo Oriente ed in Europa occidentale.

Nel 1953 la CIA ha lanciato il progetto MK ULTRA. Esso aveva ad oggetto lo studio dei modi per influenzare "il comportamento umano ed il modo di pensare degli uomini tramite l'aiuto di farmaci e microrganismi. Gli "studi" della Cia e dei laboratori militari hanno incluso la dispersione di batteri patogeni nella metropolitana di New York. Come si vede, gli sperimentatori non ha risparmiato neanche i propri compatrioti. In questo modo è stato attuato il contagio intenzionale di 240 città della provincia americana nonchè dei quartieri poveri di Washington, San Francisko e del Minnesota. Alcuni esperimenti sono stati condotti nei tropici, a Panama City per esempio. Nel 1970 la CIA e il Pentagono lanciarono un programma di test per sperimentare armi genetiche super segrete. Una missione strategica fu assegnata a degli scienziati con lo scopo di ottenere una massiva riduzione della popolazione nei paesi potenzialmente ostili. La Cina, l’Iran, l’India ed il Pakistan sono stati presi di mira dai genetisti americani che da tempo hanno superato i "successi" del medico nazista Mengele.

Nell'emisfero occidentale è stata Cuba a subire la maggior parte degli attacchi biologici made in USA. Almeno 300 mila cubani hanno sofferto di febbre emorragica dengue. 150 uomini, tra cui 50 bambini, sono morti. I “mosquitos” cresciuti nei laboratori della Georgia e della Florida sono stati portati sull’isola in diversi modi. Anche il personale militare sovietico di stanza a Cuba è stato oggetto di febbre dengue e sono stati registrati dei morti.

Lo scrittore guatemalteca Persi Francisko Alvarado, che ha lavorato 20 anni per l’intelligence cubana negli Stati Uniti, ha pubblicato un articolo sull’uso dell’impianto di cancro quale arma da parte della C.I.A. Egli ha fornito elementi concreti sull’esistenza di decine di laboratori di guerra biologica sul suolo americano. Fort Detrick, un reparto di virologia, è un luogo dove sono stati ottenuti molti sinistri successi.

Gli studiosi venezuelani di politica spesso commentano il potenziale uso di armi sperimentali che emanano radiazioni elettromagnetiche e direzionabili da parte dei servizi speciali degli Stati Uniti. È possibile che l'arma sia già operativa per attacchi selettivi contro il "i politici invisi agli USA". Una vittima non muore subito ma dopo qualche tempo, caratteristica positiva che permette di fuggire senza lasciare tracce.

Una domanda viene spontanea: cosa ha portato i capi del governo americano ad autorizzare le attività della CIA volte alla "neutralizzazione" (uso proprio questo termine) dei presidenti - populisti?

Si può supporre con grande credibilità che la sconfitta al IV vertice americano (novembre 2005), quando la squadra degli Stati Uniti ha cercato di imporre l’accordo del libero commercio (ALCA) sull’emisfero occidentale, ha contribuito a questo tipo di decisione. Alla cerimonia di apertura l'ospite allora presidente argentino Nestor Kirchner ha dichiarato che l'integrazione sarebbe potuta diventare una realtà solo nel caso in cui fossero state attuate misure appropriate per eliminare sproporzioni di sviluppo. In caso contrario, il "libero mercato" avrebbe ulteriormente indebolito l'America Latina e fatto crescere il suo debito estero. Rivolgendosi a Bush ha detto che la politica imposta dagli Stati Uniti ha aggravato la povertà del continente e ha anche portato all’instabilità e alla caduta di governi democraticamente eletti. Kirchner ha invitato i partecipanti al vertice a ricercare una nuova strategia di sviluppo regionale che avrebbe potuto incontrare l'interesse dei latino-americani. Presto un nuovo modello di integrazione - l'Unione delle Nazioni Sudamericane - UNASUR sarebbe nato. Durante gli anni della sua esistenza l'Unione ha impedito alla CIA l’attuazione di colpi di stato sia in Bolivia, sia in Ecuador, per esempio. Ha incoraggiato il dialogo tra vicini in conflitto e ha facilitato il ripristino della democrazia in Honduras.

Grazie a Chavez e ai fratelli Castro l'ALBA (Alternativa Boliviana per l'America Latina), un'alleanza di integrazione, creata nel 2004, ha ottenuto un impulso potente. È stata fondata per fungere da contrappeso alla ALCA, basandola sui principi dell’ideologia anti-imperialista al fine di garantire la sicurezza energetica dei partecipanti. Il Petocaribe (giugno 2005) è stato un successo dovuto agli sforzi da parte di Chavez. L'alleanza prevede forniture di idrocarburi preferenziali dal Venezuela ai Caraibi e Centro America Stati. Ciò pone fine agli abusi commessi da compagnie petrolifere transnazionali.

Un altro importantissimo evento è stato il forum tenuto a Caracas all'inizio del dicembre 2011 che ha avuto come risultato la creazione della Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC). La nuova alleanza comprende 33 membri dell'emisfero occidentale, esclusi USA e Canada.

Chavez ed i suoi amici vedono il nuovo blocco come un necessario contrappeso alla dittatura degli Stati Uniti nella OAS. Il CELAC nel prossimo decennio diventerà la forza più influente dell'emisfero occidentale. L'OAS dovrà rinunciare alla sua presentazione permanente negli Stati Uniti per conservare la sua posizione nella regione.

Naturalmente Washington non è conciliante con l’idea di una America Latina sempre più indipendente, ignorando le grida perentorie dei dittatori e le minacce di usare la forza. Il primo tentativo di sbarazzarsi dei "presidenti ostili" non è riuscito. Rafael Correa si ferma nei tempi duri del tentativo di colpo di stato in Ecuador. I cecchini addestrati della CIA mancarono il bersaglio. Hugo Chavez ha sconfitto il cancro e sta con fiducia guardando alle elezioni dell’ottobre 2012. Cristina Fernandez ha consultato i medici in tempo e lo sviluppo critico della malattia è stato prevenuto. Anche se il pericolo è ancora lì.

Gli Stati Uniti si stanno tuffando nella crisi più profonda della loro storia. La fase di stallo della élite si fa più acuta.
Non hanno pietà per le proteste dei loro connazionali e non saranno più teneri con gli stranieri.

Nil Nikandrov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2012/01/11/cia-cancer-experiments-with-presidents-of-latin-america.html
11.01.2012
da: www.comedonchisciotte.org
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSIA

venerdì 20 gennaio 2012

LE INGANNEVOLI SUPPOSIZIONI DEL CAPITALISMO



DI DOUG HARVEY
Common Dreams

Uno degli aspetti più ingannevoli del capitalismo è l'idea che se si segue con slancio l'acquisizione di ricchezze private, questo in qualche modo sarà automaticamente un "bene" per tutta la società.
Scrittrice e sostenitrice del laissez-faire, Ayn Rand scrisse che se una persona non sostiene l’idea che l’avidità sia un bene e che l’"egoismo illuminato" (come prefigurato da Adam Smith) sia la più alta virtù, allora automaticamente sostiene un regime centralizzato oppressivo che non ammette né la libertà personale, né una qualsiasi ricchezza privata. Si stringe i denti, vivendo nell’oscurità e nella disperazione, in una parola, all’inferno. Questo modo di pensare manicheo è in linea con la tradizione giudaico-cristiana-islamica che risale alla frattura avvenuta nella valle dell’Indo tra la tradizione Vedica e il sistema di credenze zoroastriano dell’antica Persia. L’idea che il mondo sia caratterizzato da un’eterna "guerra" fra le forze della luce e le forze delle tenebre è alla base di gran parte del cosiddetto pensiero occidentale.

Nelle Tre Metamorfosi, Friedrich Nietzsche scrisse che gli umani, sin da bambini, hanno un pesante fardello sulle spalle. Usando la metafora del cammello, descrisse noi che ci addentriamo nella natura selvaggia con questo fardello, per venire attaccati da un grande drago. Il drago era coperto di squame, su ogni squama c’erano le parole "Tu Devi". L’umano si trasforma poi in un leone per combattere con il drago e se il leone sarà vittorioso nella lotta - uccidendo il drago "Tu Devi" - la metafora allora lo riporta a essere un bambino. L’essere umano diventa poi quello per cui è nato, "una ruota che gira fuori dal proprio asse". Per molti di noi cresciuti nel "mondo sviluppato" una delle squame del drago è quella con le parole "Tu devi credere nella guerra tra luce e tenebre". E la società o convinta che una parte di questa guerra è tra la nozione capitalista dell’"egoismo illuminato" e quella demoniaca "socialista" della proprietà pubblica e dell’altruismo oppressivo che punisce la produttività e premia chi non produce. Questo si è fuso con la struttura religiosa giudaico-cristiana del "bene contro il male" al punto in cui in certi ambienti non c'è distinzione tra la versione laica del mito e quella religiosa. Per terminare la metamorfosi nietzschiana in questo contesto, alla fine molte persone non uccidono il drago. Il risultato è una dialettica sociale in gran parte illusoria e controllato da pensieri mitici, dagli slogan e da teorie indiscusse.
Anche se non si tratta di niente di nuovo, le conseguenze stanno diventando troppo gravi, proprio quando gli esseri umani hanno la capacità senza precedenti di imporre poteri catastrofici. Quello che serve è un forte legame con la realtà, ovvero disfarsi delle ideologie e delle religioni e analizzare i fatti. Il processo iniziato con l’Illuminismo è stato, in linea di massima, uno sviluppo positivo almeno per l’Europa. Ma questo processo è stato interrotto non tanto dalla religione - l’antitesi dell’Illuminismo -, quanto da una ideologia laica secondo cui il procacciarsi ricchezza è un bene sociale.
Se si osa dissentire da questa religione laica ci si ritrova spediti all’Inferno dai Sostenitori della Fede. Se i sostenitori di questo sistema, quando vedono un’opposizione dissidente per loro tanto minacciosa, la condannano di sana pianta, vale chiedersi "Quindi, qual è la minaccia?" Questo è ciò che rende lo studio degli scritti di Karl Marx, di Friedrich Engels e di altri dissidenti della fede laica così affascinante. Prima che il "Marxismo" fosse usato come strumento di repressione dai capitalisti di stato (Unione Sovietica, Cina - regimi che usarono la retorica marxista per reprimere la loro stessa gente), è stato e può essere ancora una critica utile alla fede del capitalismo e la sua analisi può essere molto significativa. Alcuni hanno aiutato a riportare d’attualità questa voce del dissenso del XIX secolo sulla base di un’analisi scientifica critica dell’evoluzione del sistema capitalista (Paul Sweezy, Howard Parsons, David Harvey, John Bellamy Foster ed altri).
La critica più importate è la questione sull’assunto dell’"egoismo illuminato come bene comune". Questa ipotesi è basata sulla falsa premessa che gli esseri umani siano separati dal loro ambiente, che in qualche modo siamo al "di sopra" delle normali conseguenze delle azioni nel continuum vita-morte del nostro pianeta. Una breve ricerca sulle conseguenze di questa falsa premessa dovrebbe far riflettere qualsiasi persona con intelletto. La ricerca di risorse e mercati per alimentare un sistema che DEVE CRESCERE per sopravvivere ha reso questo pianeta e i suoi abitanti dei prodotti. Nella mitologia capitalista tutto ha un valore in denaro, anche, e forse soprattutto, le persone. Il fatto che gli esseri umani dipendano da un ambiente sano non è una considerazione importante, e il fatto che i capitalisti che hanno raggiunto l’indipendenza finanziaria se lo possano COMPRARE come una proprietà privata è dato per scontato. Tutti gli altri si devono quindi mettere sul terreno della competizione e comprarsi il loro "ambiente sano", oppure essere consegnati a un’esistenza che Thomas Hobbes chiamò "brutta, sporca e breve", una profezia che si autoavvera, se mai ne è esistita una.
Critici e dissidenti come quelli sopra citati danno un taglio a questa narrativa mitica e sottolineano il fatto che la salute ambientale, la sostenibilità e la diversità sono essenziali per la salute umana e non. L’"autorealizzazione" e la protezione di un "bene comune" sono le priorità per questi dissidenti, in un modo ben diverso da come l’"egoismo illuminato" di Smith è diventato un mito della società. Il significato originale della parola greca "economia" ha molto più a che fare con una casa ben curata - che si tratti di una singola abitazione, di un quartiere, di una città o di un’intera regione - che di una proprietà privata. In definitiva la nostra "casa" è il nostro pianeta, NON possiamo non considerare questo fatto. Da qualche tempo abbiamo le foto della nostra Terra scattate dallo spazio. L’evidenza è chiara: siamo una piccolissima casa in mezzo a un enorme mare di tempo e spazio. DOBBIAMO cooperare o moriremo. Allo stato attuale, il nostro capofamiglia - il Capitalismo (alcuni preferirebbero il termine "fascismo") - è un alcolizzato che devasta tutti quelli che hanno qualcosa che lui desidera. L’epitome del "self-will run riot" (ndt: termine per indicare gli alcolizzati ancora convinti di poter smettere facilmente) ha distrutto interi paesi nella ricerca di un'altra bevuta (che siano risorse o mercati) e non si fermerà davanti a nulla, neanche davanti alla propria autodistruzione, continuando la sua cieca e incredibile violenza su tutto il pianeta.
Una volta che "Tu Devi" - il drago che ci disse che questo comportamento era corretto - viene ucciso, la nostra attenzione può passare a una analisi propriamente più sobria della nostra situazione, lasciando che i pensieri a lungo termine e le soluzioni diventino parte della nostra esistenza giornaliera. La ricerca dell’autorealizzazione per ogni individuo in un ambiente sano - in opposizione alla rigida acquisizione materiale - può diventare il fine ultimo della nostra economia sul pianeta. La gente felice e soddisfatta non saccheggia, non violenta e non uccide gli altri per le risorse o i mercati. La Terra è un posto di abbondanza, non di scarsità. Le persone POSSONO collaborare e vivere in pace. Ma dobbiamo condividere un impegno nel "reale" - la vita reale influenza la nostra interazione con le risorse di casa -, per le cose che tutti vogliamo come l’aria e l’acqua pulita, una dieta sana, esprimere le nostre potenzialità creative, amare ed essere amati, essere parte di qualcosa di più grande di noi stessi (viene in mente il Pianeta Terra). Diventare quello per cui siamo nati, una "ruota che gira fuori dal proprio asse", come gli occhi e le orecchie del Pianeta Terra, è il nostro giusto obiettivo. Se la ricerca di ricchezza individuale impoverisce gli altri e il pianeta nel suo complesso - come indicano i fatti – e consegna gli spettatori innocenti a una vita "brutta, sporca e breve", allora rappresenta solo un potere ingiustificato e fuori luogo. È distruttivo. È come vivere con un ubriaco che sta affogando nella propria illusione. È il tempo di intervenire.
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Fonte: http://www.commondreams.org/view/2012/01/01-1
01.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di REIO

domenica 15 gennaio 2012

NAUFRAGIO COSTA CONCORDIA: STRANIERI E AL NERO, SULLE NAVI DA CROCIERA ?

DI DEBORA BILLI
crisis.blogosfere.it


Ci si chiede come mai non si sia ancora riusciti a venire a capo del mistero dei dispersi sulla Costa Concordia appena affondata al Giglio. Possibile che una grande compagnia come la Costa non abbia liste chiare e pronte su passeggeri ed equipaggio? Possibile che la Capitaneria non riuscisse ad averle, che 24 ore dopo il disastro ancora non si sappia come stanno le cose?
Una risposta, francamente agghiacciante per le sue implicazioni, l'ha data un sopravvissuto a La7. Ha detto più o meno questo: "I marinai erano tutti stranieri. Non sapevano parlare né l'italiano né l'inglese, e soprattutto non avevano idea di come funzionassero le scialuppe. Gliel'ho dovuto spiegare io insieme ad altri. Erano più terrorizzati di noi".

Se ne parla anche qui.



Questa testimonianza apre una prospettiva inquietante su come vengano gestite le crociere. In mano a chi sono i passeggeri? A gente competente e preparata, o a lavoratori precari presi a casaccio, senza alcuna preparazione marinara e di sicurezza? A gente che magari viene pagata chissacome, e che non risulta neppure sulle liste?
Le crociere costano straordinariamente poco, rispetto al lusso che offrono. Un albergo di quel livello costerebbe 1000 euro a notte, quanto in una crociera si paga per una settimana. Considerato che una crociera consuma anche gasolio, mentre l'albergo almeno sta fermo, dov'è che si fa il risparmio? Come si fa ad offrire prezzi quasi popolari?
Per finire, le prime immagini del disastro avevano il marchietto "Vigili del Fuoco". I sopravvissuti hanno detto che i soccorsi sono stati tempestivi ed eccellenti, a differenza dell'assistenza a bordo.
Lavoratori statali 1 - privati 0. Ancora convinti che il privato è tanto bravo perché ci fa risparmiare?
(Precisazione: sono pronta a pubblicare smentite provate sulla regolarità delle assunzioni e sull'addestramento dei lavoratori della Costa.)
Update: la marina turca ha pubblicato le carte dettagliate della rotta della Concordia. L'articolo rileva come l'enorme nave sia andata a ficcarsi tra due scogli dove azzardano a malapena i gommoni. Trovate tutto qui, davvero sbalorditivo ed inspiegabile.

Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/
Link: http://crisis.blogosfere.it/2012/01/costa-concordia-stranieri-e-al-nero-sulle-navi-da-crociera.html
14.01.2012

da: www.comedonchisciotte.org

giovedì 12 gennaio 2012

Processo Rostagno: il teste “pentito“ non c’è, è morto nel 2008.

di Rino Giacalone


Fu nei primi anni 90 tra i primi pentiti della mafia trapanese dopo decenni passati tra omertà e silenzi. Doveva deporre da testimone nel processo per il delitto di Mauro Rostagno, ma al momento di chiamarlo sul pretorio, udienza di oggi, 11 gennaio 2012, si è scoperto che lui è morto in solitudine e abbandonato da tutti addirittura nel 2008,nella sua città, Campobello di Mazara, provincia di Trapani, nel territorio della Valle del Belìce. Rosario Spatola è morto a 59 anni, ne dimostrava molti di più, anche per via delle vicissitudini e dei malaffari commessi. Si occupava di traffici di droga, lui stesso fece uso di cocaina. Quando si pentì davanti all’allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, delineò, fornendo riscontri, le rotte dei traffici di droga, la rete dello spaccio in provinciale, i luoghi dove la droga veniva raffinata sotto l’occhio vigile delle famiglie mafiose. I processi con queste sue rivelazioni non ebbero difficoltà a concludersi con verdetti di condanna per gli imputati alla sbarra. Lui era compare di uno dei più grossi narcotraficcanti del Belice, un avvocato, Totò Messina. Lui dice che frequentava i capi mafia, e che era un uomo d’onore. Alzò il tiro, dopo la morte di Borsellino, cominciò a parlare di politici, fu teste d’accusa nel processo contro l’ex numero due del Sisde Bruno Contrada, indicò l’ex deputato regionale della Dc, l’andreottiano Pino Giammarinaro, suo conterraneo, di Salemi, di essere stato uno dei politici a disposizione di Cosa nostra. Nel frattempo il pentimento di uomini di onore di ben altro rango lo fece mettere in ombra. I grossi pentiti che erano stati grossi mafiosi dissero che però niente sapevano di Rosario Spatola come uomo d’onore, e così se controverso c’era anche per il modo con il quale spesso si esprimeva, e si presentava agli interlocutori, nelle aule di giustizia, lo divenne controverso ancora di più perché forse dentro Cosa nostra non c’era mai stato davvero. E se per i difensori degli imputati, anche da lui accusati, lui diventava inattendibile, e anche se qualche sentenza lo ha dichiarato inattendibile, per gli investigatori lui, Rosario Spatola, come Giacoma Filippello, suo conterranea campobellese, moglie del defunto capo mafia Natale L’Ala, e ancora come il castelvetranese Vincenzo Calcara, per gli investigatori più acuti della provincia di Trapani restavano i soggetti che avevano spezzato il muro che proteggeva i segreti della mafia trapanese. Niente affatto soggetti inutili alle indagini.
Nelle indagini per il delitto di Mauro Rostagno, Rosario Spatola, alcune cose le aveva dette. Prima che arrivassero i grandi pentiti, alcuni dei quali già sentiti nel processo in corso dinanzi alla Corte di Assise di Trapani, cominciato il 2 febbraio dello scorso anno, imputati due conclamati mafiosi ergastolani, Vincenzo Virga e Vito Mazzara, che hanno detto del fastidio che covava contro Rostagno da parte dei boss di Cosa nostra trapanese, il 6 marzo del 1992 davanti all’allora dirigente della Mobile, Malafarina, sentito nelle indagini per il delitto Rostagno, Spatola aveva detto che del sociologo e giornalista, ammazzato il 26 settembre del 1988, ne aveva sempre sentito parlare come un grosso rompiscatole. Ma questo termine non era stato usato da un mafioso qualsiasi, ma dall’avv. Totò Messina allora uno dei più grossi esponenti della cosca campobellese. Ma c’è di più: le confidenze fatte a lui da Messina gli avevano permesso di avere certezza del fatto che c’era chi dall’interno della comunità Saman, la comunità di recupero fondata da Rostagno, assieme a Cicci Cardella e a Chicca Roveri, informava chi stava fuori di ciò che faceva Rostagno. Il soggetto era Giuseppe Cammisa, detto Jpiter, di Campobello anche lui, anche lui inoltre a disposizione di Messina per il traffico di droga. Cammisa, raccontò Spatola, sebbene disintossicato continuò con lo stare in comunità. Spatola sentito poi il 25 marzo 1995 dai magistrati Palmeri e Rovida, della Procura di Trapani, ebbe a dire che Cammisa era un esperto conoscitore del procedimento di raffinazione dell’eroina e che in un caso era stato usato per pedinare un maresciallo dei carabinieri che l’organizzazione mafiosa voleva “uccidere”: “Ho il sospetto – disse in quella occasione – che di fatto per incarico di Messina pedinava e controllava Rostagno”. Era il periodo in cui Mauro Rostagno dagli shcermi di Rtc, la tv dove lavorava, faceva giornalmente il triste resoconto sui morti per droga.
Rosario Spatola è morto ma lo si è saputo solo anni dopo, qualche notizia, per la verità, era comparsa sulle pagine di alcuni giornali locali, ma quando oramai lui era caduto in disgrazia. Fu coinvolto in una indagine su pentiti che avevano concordato dichiarazioni prima di essere sentiti in alcuni processi, addirittura si vociferò che lui, sotto programma di protezione, chiedeva soldi per rendere dichiarazioni di comodo, di fatto si trovò fuori dal programma di protezione, con il carcere da scontare, seguito dal suo solo difensore l’avv. Silvio Forti che era in aula ad attenderlo per assisterlo e al pari dei pm si è sorpreso, incredulo, a sapere che il suo assistito era morto e nemmeno da poco, dal 2008. Senza più protezione, dimenticato da magistrati e giudici, si ritirò nella sua Campobello di Mazara dove nel frattempo, va detto, imperversava la moda dell’antimafia dichiarata di continuo e della quale era primo testimone il sindaco Ciro Caravà, adesso finito in carcere perché la sua era una antimafia recitata e nel frattempo si sarebbe preoccupato di aiutare i mafiosi. Spatola ha vissuto ancora pochi anni da inosservato, sconosciuto. Solo ieri la sua “fama” di primo pentito trapanese si è rifatta avanti quando però oramai lui non c’era più, e non si è fatto vedere come si faceva vedere all’inizio delle sue comparse, ben vestito, elegante, tra le mani la sigaretta, come Paolo Borsellino che non abbandonava mai il vizio del fumo.

http://www.malitalia.it/2012/01/processo-rostagno-il-teste-%E2%80%9Cpentito%E2%80%9C-non-c%E2%80%99e-e-morto-nel-2008/

martedì 10 gennaio 2012

Il Paese del gioco d'azzardo dove a vincere sono solo le mafie

Azzardopoli, il rapporto su mafie e gioco d'azzardo a cura di Libera
Il magistrato Diana De Martino: «è nuova frontiera del business criminale»
«Sale Bingo, scommesse clandestine, videopoker, slot machine. Il mondo del gioco d'azzardo è interesse della criminalità organizzata. Piu' di un interesse. Un vero e proprio affare. Spesso gestito in regime di monopolio. Con un giro d'affari sottostimato di dieci miliardi di euro all'anno. E che non conosce confini. Da Chivasso a Caltanisetta, attraversando la via Emilia e la Capitale, sono 41 i clan nel Belpaese che gestiscono la “grande roulette”». Così la rete di associazioni di Libera racconta in un passaggio del dossier “Azzardopoli” la costante e penetrante presenza delle mafie e del malaffare in quella che le cifre testimoniano essere la “terza impresa” del paese con un giro di affari di 86mld di euro: il gioco d'azzardo. Un settore che per la criminalità organizzata rappresenta, da solo, un guadagno di dieci miliardi di euro. Il una ampia ricerca curata dal giornalista Daniele Poto l'analisi della situazione nel Paese che – dichiara alla conferenza stampa alla Fnsi, Poto – è il primo Paese in Europa per numero di giocatori e il terzo nel mondo. L'analisi di Libera affronta il tema a partire da tutti gli aspetti che lo caratterizzano: la dipendenza dal gioco e del gioco d'azzardo in particolare, il controllo da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso di questo settore ma anche il disagio sociale e l'impoverimento delle famiglie che spesso finisco per diventare vittime di questo business sempre più gestito dai clan. Secondo il rapporto gli italiani spendono circa 1260 euro procapite per tentare la fortuna, per raddoppiare i soldi e si stimano 800mila persone dipendenti da gioco d'azzardo e quasi due milioni di giocatori a rischio. Un dossier – quello di Libera – che si avvale dei dati istituzionali, quelli delle forze dell'ordine ma anche di molte ricerche già effettuate in questi anni da associazioni, gruppi di cittadini, psicologi e operatori del sociale. Gioco d'azzardo, corruzione della speranza. «Da più di 15 anni – dichiara il presidente di Libera e Gruppo Abele, Luigi Ciotti – abbiamo denunciato il rischio, oggi certezza, che il gioco d'azzardo, così come è stato per le sostanze stupefacenti, diventasse una dipendenza, un disagio sociale e un luogo di malaffare criminale. Oggi ci troviamo in ritardo, a dover prendere atto che nulla è stato fatto e invece c'è urgenza di fare e fare bene al più presto sotto l'aspetto legislativo ma anche delle politiche sociali». Il presidente di Libera sottolinea i tanti aspetti sociali in cui incide, profondamente, l'abuso del gioco d'azzardo così come oggi si è diffuso nella società, trasformandosi in un businessa appetibile da numerosi clan e sottolinea: «quella del gioco d'azzardo è una forma di corruzione della speranza, nei dati che emergono dal rapporto che Libera presenta oggi, emerge soprattutto un problema di natura etica, culturale, morale e politica. E' stato dimostrato in questi anni – continua Ciotti – che il danno sociale e individuale che questi giochi d'azzardo arrecano alla società sono di gran lunga maggiori dei guadagni che lo Stato riesce a trarre da essi». Dipendenza e indebitamento sono i due problemi sociali che maggiormente sono collegati all'abuso nell'uso di videopoker, slot machine, gratta e vinci, bingo. E a questo “costo sociale” elevato e ancora oggi sottovalutato si passa all'inquinamento ormai conclamato di questo business da parte delle mafie, presenti in tutta la “filiera” che gestisce buona parte del gioco d'azzardo. Azzardo, nuova frontiera del business criminale. A parlarne durante la conferenza stampa di presentazione di “Azzardopoli” è il magistrato della Direzione nazionale antimafia, Diana De Martino. «Sono circa 41 i clan coinvolti in operazioni direttamente o indirettamente collegati a questo business in diverse città italiane a dimostrazione che il gioco d'azzardo è oggi la nuova frontiera per le mafie, il nuovo business che unisce bassi rischi e massimo rendimento». Sono dieci le direzioni distrettuali antimafia che nell'ultimo anno hanno effettuato indagini: Bologna, Caltanissetta, Catania, Firenze, Lecce, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria e Roma. Nel 2010 sono state 6.295 le violazioni riscontrate dalla Guardia di finanza: oltre 8mila le persone denunciate, 3.746 i videogiochi irregolari sequestrati (alla media di 312 al mese) e 1.918 i punti di raccolta di scommesse non autorizzate o clandestine scoperti, il 165% in piu' rispetto all'anno precedente. «Sono tante, svariate e di vera fantasia criminale i modi e le tipologie con le quali le mafie si infiltrano in queste imprese che si occupano della “macchina del gioco”. Dalle infiltrazioni delle società di gestione di punti scommesse, alle Sale Bingo, che si prestano in modo "legale" per diventare invee "lavanderie" per riciclaggio di soldi sporchi, all'imposizione di noleggio di apparecchi di videogiochi, alla gestione di bische clandestine, sino al toto nero e clandestino». E poi ancora «..il grande mondo del calcio scommesse, un mercato che da solo vale oltre 2,5 miliardi di euro. La grande giostra intorno alle scommesse delle corse clandestine dei cavalli e del mondo dell'ippica. Sale giochi utilizzate per adescare le persone in difficoltà, bisognose di soldi, che diventano vittime dell'usura. Il racket delle slotmachine. E non ultimo quello dell'acquisto da parte dei clan dei biglietti vincenti di Lotto, Superenalotto, Gratta e vinci. I clan sono pronto infatti a comprare da normali giocatori i biglietti vincenti, pagando un sovrapprezzo che va dal cinque al dieci per cento: una una maniera "pulita" per riciclare il denaro sporco. Esibendo alle forze di polizia i tagliandi vincenti di giochi e lotterie possono infatti giustificare l´acquisto di beni e attività commerciali. Eludendo così i sequestri». I clan coinvolti. Tante le operazioni attraverso le quali Libera racconta questo business che assume tratti criminali e coinvolge clan del calibro dei Casalesi, dei Bidognetti, dei Mallardo, dei Santapaola e dei Condello, dei Mancuso, dei Lo Piccolo. Dati illustrati, con precisione dal giornalista Daniele Poto che con Libera ha curato il rapporto includendo anche il lavoro di ricerca fatto dall'associazione Giovanni XXIII del novembre del 2011 - si legge nel rapporto - «ha realizzato una ricerca sulle abitudini al gioco d'azzardo stimando circa un 1 milione e 720 mila giocatori a rischio e ben 708.225 giocatori adulti patologici, ai quali occorre sommare l’11% dei giocatori patologici minorenni e quelli a rischio. Il che significa che vi sono circa 800 mila dipendenti da gioco d’azzardo all'interno di un'area di quasi due milioni digiocatori a rischio. I giocatori patologici dichiarano di giocare oltre tre volte alla settimana, per più di tre ore alla settimana e di spendere ogni mese dai 600 euro in su, con i due terzi di costoro che addirittura spendono oltre 1.200 euro al mese». Tutti dati che hanno un impatto sulla vita di tutti i giorni, sulle persone. Come sottolinea lo psicologo, Mauro Croce, oggi il gioco d'azzardo è diventato un fenomeno di massa che niente ha a che vedere con quel rito “culturale e di tradizione” che era un tempo. E ancora oggi non viene riconosciuta come una patologia da curare ed è ancora largamente negato il diritto a curarsi gratuitamente come per altre dipendenze. Una legge sul gioco d'azzardo. Numeri, storie e cifre di un fenomeno complesso, quelle contenute nel dossier di Libera (scarica qui il dossier “Azzardopoli) che affrontano il problema e denunciano i casi più eclatanti in cui le mafie hanno preso la gestione delle slot machine, di biglietti gratta e vinci del “mercato nero” e di altre attività che si rivelano, alla luce di queste cifre, un affare sicuro e redditizio. «Questa è la situazione oggi – conclude Luigi Ciotti – ma questa analisi deve servire soprattutto per agire, per mettere sul tavolo proposte, che abbiamo elaborato con le tante realtà che lavorano su questo tema da anni – e che adesso vanno applicate al più presto». Una proposta articolata in dieci punti, fra gli altri la necessità di una legge quadro che si occupi di inasprire le pene (al momento irrisorie) e prevenire il diffondersi di questa dipendenza dal gioco, una maggiore attenzione a politiche che siano in grado di intervenire prevenendo il fenomeno e i suoi effetti sociali e una più efficace comunicazione e informazione fondamentale per comprendere il fenomeno. fonte: http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=16384

domenica 8 gennaio 2012

Centroamerica: le morti misteriose nelle piantagioni di canna da zucchero

Si muore di un male silenzioso nelle piantagioni di canna da zucchero del Centroamerica Scritto da Maurizio Campisi *
Si muore di un male silenzioso nelle piantagioni di canna da zucchero del Centroamerica. Nel caldo umido del sole di dicembre, con temperature che superano i trenta gradi, la ¨zafra¨, la raccolta della canna da zucchero si fa ancora in forma tradizionale. Gli uomini, chini e sudati, strappano a colpi di machete le piante alla terra e stanno lì per ore, da mattina a sera, perchè qui non si riceve uno stipendio, ma una paga in relazione alla quantità di canna tagliata. L'attività è febbrile, perchè come in tutti i lavori agricoli, si lotta contro il tempo. Poche settimane per immagazzinare migliaia di tonnellate da inviare alle raffinerie o ai porti, per l'esportazione. El Salvador e il Nicaragua sono i principali produttori di zucchero della regione: quasi un milione di tonnellate dirette all'estero, soprattutto negli Stati Uniti e in Sudamerica. In Europa no, perchè non c'è mercato: le tasse di importazione sono trecento volte più alte del valore del prodotto, un'esagerazione per proteggere le economie delle ex colonie britanniche e francesi. Il lavoro è duro e pericoloso: i giornalieri devono sapersi districare tra le insidie che occultano le piante (serpenti, tarantole, insetti velenosi) e la costante esposizione all'insolazione o alla disidratazione. Chi si dedica a questa occupazione, conosce benissimo questi rischi, che impara a prevenire. Da qualche anno, però, esiste un pericolo che non si può evitare e che agisce subdolo, che attacca i reni ed i sistemi di difesa dell'organismo. Uno studio dell'Organizzazione mondiale per la salute ha reso infine ufficiale quello che nelle piantagioni già sapevano, che esiste un nemico silenzioso che uccide dopo mesi di dolenze ai reni. Migliaia di persone (una stima parla di 3000, altre portano i decessi fino a diecimila) sono morte in Centroamerica tra il 2005 ed il 2009 per insufficienza renale: tutti uomini e tutti giornalieri della zafra. La coincidenza è emersa dai dati offerti dagli ospedali, che sono stati i primi ad avvisare la relazione di quella che in pochi anni è diventata una delle maggiori cause di decessi di tutta la regione (nel Salvador la Irc è addirittura al secondo posto). Gli esperti non sanno o non vogliono dare una risposta sicura all'emergenza. Qualcuno dà la colpa ad una tossina sconosciuta, altri semplicemente alla fatica, ma non si scarta nemmeno l'uso indiscriminato di pesticidi, della cui origine i lavoratori sono all'oscuro. La tragedia del Nemagon, che per decenni venne irrorato sulle piantagioni di banane avvelenando la terra e la salute di migliaia di agricoltori e contadini è ancora viva nella memoria ed è una ferita che non si è rimarginata, che ha dimostrato alla gente delle campagne come gli interessi delle compagnie risultino più importanti di ogni altra cosa. Ed è proprio la diffidenza a dividere le opinioni dei lavoratori, che puntano l'indice contro le compagnie e queste, che invece, rifiutano ogni addebito ed ordinano studi e ricerche alle università per liberarsi dalle accuse. La malattia colpisce indistintamente uomini di tutte le età, adulti e ragazzi poco più che adolescenti, che si presentano alla raccolta sani e ne escono con i reni a pezzi ed i giorni contati. Differenti relazioni degli ospedali nicaraguensi hanno attribuito in passato la malattia all'esposizione ai pesticidi, ma non si è stati ancora in grado di determinare con esattezza cosa stia succedendo nei campi, tra gli alti ed agili fusti della canna da zucchero. Proprio in Nicaragua, già nell'ottobre di tre anni fa la Anairc (Asociación Nicaraguense de Afectados por Insuficiencia Renal Crónica) aveva portato il potente gruppo Pellas -proprietario delle principali piantagioni di canna da zucchero del paese- in tribunale senza troppa fortuna. Resta infatti da definire come lavoratori di differenti imprese situate in differenti paesi, a centinaia di chilometri di distanza tra loro, presentino gli stessi sintomi. A Liberia, capoluogo del Guanacaste, una delle zone agricole della Costa Rica, l'ospedale ha dovuto inaugurare recentemente un reparto di dialisi per poter attendere le decine di richieste per lenire le sofferenze dell'insufficienza renale. Tra Liberia e Chichigalpa -cuore della zafra nicaraguense- ci sono almeno 500 chilometri ed altri cinquecento ce ne sono per giungere a La Libertad e alle coltivazioni salvadoregne. Sorge così la teoria di un mix di cause: le alte temperature (fino a 35 gradi), le lunghe ore sotto il sole, la disidratazione, i pesticidi, così come l'etilismo frequente tra i lavoratori della canna, tutti fattori di alto rischio che, se sommati insieme, conducono i reni al collasso. Risposte, insomma, al momento non ce ne sono: resta solo il silenzio che fa crescere l'angoscia ed il dramma fonte: www.peacereporter.net